La vita agra di Luciano Bianciardi



Il dialogo all’interno del nostro laboratorio di Lettura evoluta riprende su questo blog nella convinzione che anche su questo la discussione possa mantenere la spontaneità e la ricchezza che hanno caratterizzato i nostri incontri nelle librerie e nella nostra sede.
Questa fase la dedichiamo, come sempre, ad un primo esame del libro proposto che  è oggi  
La vita agra di Luciano Bianciardi.
Riannodiamo i fili che legano questa esperienza di lettura alle nostre esperienze precedenti. La scelta di proporre questo libro è stata impegnativa nella sua maturazione perché ogni proposta implica una selezione attenta tra testi alla ricerca di quello che più può favorire e giovare al percorso che abbiamo già tracciato: la rappresentazione della realtà in una definita visione del mondo.
Per questo motivo non dovremmo mai vedere la lettura di un libro staccata dalla lettura di quello che segue e di quello che precede. Nel laboratorio idee giudizi elaborazioni, personali e non, si evolvono e si arricchiscono via via.
In più si dovrebbe aggiungere che nessun libro, neppure il più originale e innovativo, nasce orfano. E La vita agra, entra a buon diritto nella nostra selezione per due ordini di motivi: prosegue il nostro discorso e rappresenta la realtà anche se nella forma del distacco rispetto alla realtà vissuta e ridisegnata dai protagonisti. Una narrazione in cui si affiancano e si contrappongono lettura della realtà, a volte cruda a volte ironica o persino grottesca e in alcune parti anticipatoria di analisi sociologiche e politiche future, e rappresentazione di una società come dovrebbe essere, come la si vorrebbe, nel disegno di un’utopia che nasce da un profondo dissenso.
Ma, siccome nessun libro nasce orfano, dovremmo rifarci al periodo in cui fu scritto ma anche alle nostre precedenti letture in un fil rouge che dia significato più evidente al nostro percorso di riflessione.
Il Morselli di Dissipatio H.G., il Calvino di Palomar, Huxley de Il nuovo mondo, Burgess di Arancia meccanica, Carrère di L’Avversario, Kundera de L’insostenibile leggerezza dell’essere. Ognuno di questi testi ha costituito una tappa pur presentandosi con qualità peculiari nelle motivazioni personali e generali, nel linguaggio …
Nel linguaggio Bianciardi si presenta  con un incipit spiazzante. Una riflessione storico- linguistica che interroga il lettore, prima ancora che sul significato, sulle sue proprie capacità di lettura e di interpretazione.
Ma, in seguito, l’attenzione si sposta sulla ricchezza lessicale e sintattica e inizia quella  operazione di “ complicità” con lo scrittore auspicata da Virginia Woolf.  E gli interrogativi cambiano ( perché l’affollarsi di parole regionali accompagnate da vocaboli desueti, eruditi, tecnici … ? )
Il procedere della narrazione allinea fatti che sono accaduti e sono parte integrante della biografia dell’autore e le risposte agli interrogativi si delineano. L’attività di bibliotecario, il suo impegno politico o civile segnano tappe e risvolti narrativi fondamentali, come anche l’ emigrazione. E il lettore non può ignorare quanto influente sia stata, nel dettare i ritmi nella vita dello scrittore e nella sua stessa scrittura, l’attività di traduttore.
A tanti interrogativi tante possibili risposte.
La discussione può avere inizio.

Rita Di Mattia

Commenti

  1. Io ci sono, ma ci sto mettendo una vita a raccogliere le idee e sintetizzarle. Dai, fornitemi qualche spunto

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se avete un account google, inserite il commento dopo l'accesso all'account, altrimenti si appare come anonimi. Oppure firmatevi alla fine del commento! Grazie.

      Elimina
    2. Il commento di prima è mio, Marianna. Non mi ero accorta di apparire come sconosciuta, perchè a firma del mio commento c'era la mia mail

      Elimina
  2. Un romanzo a mio avviso interessante sia sotto il profilo linguistico che del contenuto, non banale e ricco di spunti autobiografici.
    Inizialmente la lettura è sembrata incomprensibile e solo dopo la prima trentina di pagine il racconto si è incanalato in una narrazione tradizionale...
    Ecco ho rotto il ghiaccio, adesso tocca a voi.
    Maria Vittoria

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Mavi, sembra che un po’ tutti abbiamo avuto la stessa sensazione nelle prime pagine. Per poi magari rivalutarlo e leggerlo con piacere.

      Elimina
  3. Premetto di aver letto il libro un po’ a singhiozzo e senza riuscire mai a concentrarmi troppo.
    Con questa limitazione, mi viene da dire che forse è un libro che merita una seconda lettura, almeno da parte mia, perché alla prima ho trovato la storia poco accattivante, con personaggi poco definiti o comunque di non particolare vividezza. E’ anche vero che quando tra i progetti iniziali del protagonista compare l’ipotesi di far saltare per aria una torre della Milano ricca e capitalista, poi ci si sente via via scaricati dal personaggio che sembra scegliere invece una vita in qualche modo piccolo borghese e che racconta Milano come un po’come la raccontavano tutti: i milanesi chiusi in se stessi, sempre di corsa, sempre impegnati a produrre, per niente disponibili ad approcci con estranei, figurarsi ad approcci rivoluzionari…
    L’uso delle espressioni dialettali, delle vocali molto aperte fa anch’esso parte dei luoghi comuni, così come il “si arrangi” ricevuto in risposta alla richiesta di aiuto per un vecchio caduto a terra e che poi muore
    Non so, forse mi aspettavo un eroe del quotidiano e invece ho trovato un personaggio piuttosto giornaliero, al quale forse non perdono una cosa: che non dedichi mai neppure l’ombra di un pensiero al figlioletto! Forse per questo non mi ha catturato; per carità, manda sempre i soldi alla ex moglie, quindi forse non gli fa mancare le cose materiali, ma magari un po’ d’affetto ogni tanto…o no?
    Immagino che si potrebbe dire: questa sì che è un’osservazione veramente borghese.
    Sarà anche borghese ma per me non è di poco conto Mari

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certo il giudizio morale sul personaggio non c'entra nulla con la bontà del libro, ma ho voluto esplicitarlo per spiegare che questo mio giudizio (o pregiudizio) morale forse pesa sulla valutazione complessiva dell'opera.
      Sappiamo però anche che ci sono eroi chiamiamoli negativi che non impediscono di apprezzare il romanzo di cui sono protagonisti, penso a Raskolnikov oppure a Humbert Humbert Mari

      Elimina
  4. La vita agra è stata, per me, una lettura "a fasi".
    Fase 1, spaesamento e disorientamento davanti a un linguaggio incomprensibile, ostico e surreale; qui non c'è complicità alcuna col lettore, perché Bianciardi se ne vuole prendere gioco, irriderlo, della serie "Vediamo se riesci ad andare avanti, bello!"
    Fase 2, il disastro in miniera cambia lo scenario: morti, ingiustizie, la legge del profitto. E' tutto terribilmente vero e straziante, il lettore è catapultato nella realtà più terribile, chiamato a scegliere, a schierarsi.
    Fase 3, o del cazzeggio, dalle stelle alle stalle, i conti della serva, la banale quotidianità, il tramonto dell'ideologia; il linguaggio di Bianciardi rispecchia tutto questo con ironia crudele, beffarda, a volte tenera nella delicatezza dei sentimenti. Forse qui occhieggia al lettore ma sostanzialmente lui è un cane sciolto, anarchico e un po' qualunquista.
    Ho letto da qualche parte che Bianciardi è un' unghiata sulla lavagna. A suoi tempi senz'altro. Non fa favori a nessuno e ci mette la faccia, la sua.
    Anna Porcu

    RispondiElimina
  5. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  6. Non so, volevo scrivere del libro, che ho letto parzialmente perché faticavo. E sono pigra. L’ho mollato. Ho letto recensioni al libro e ho scoperto che non ero la sola a trovarlo difficile.
    Ho letto che ‘pochissimi furono i recensori in grado di comprendere realmente la forza e la novità del libro ’ quando questo venne proposto la prima volta. Poi considerato un capolavoro, il libro è senza dubbio da leggere anche per le ragioni che propone Rita, la continuità e i riferimenti dei testi finora proposti.
    Non ho certo l’ambizione di smentire nessuno, non ho abbastanza strumenti, tuttavia ho fatto un tentativo: scrivere qualcosa sull'argomento. Ed ho scritto questo. Non c’entra nulla con il libro? Perdonatemi.
    ****
    Dunque dovevamo fermarci! Come se non avessimo gambe, voglia di scoprire, di calpestare il mondo.
    Cosa abbiamo fatto di diverso da l’umanità che ci ha preceduto e a cui spesso siamo grati? Siamo cresciuti troppo come numero? Ma non ci chiedevano di far figli? Abbiamo viaggiato troppo? Ma non era desiderabile fare esperienza all'estero, conoscere altri popoli, altre tradizioni. Conoscere? Siamo andati avanti troppo in fretta con la tecnologia? Abbiamo delegato troppo le macchine?
    Ci siamo globalizzati per unirci ma abbiamo sbagliato mira e ci siamo divisi; i ricchi e i poveri, i belli e i brutti, i giusti e gli sbagliati?
    E adesso?
    Cosa possiamo fare per sistemare le cose? Sarà mica troppo tardi? E chi risponde a tutti questi dubbi? Siamo come bambini nell’età del perché. Perché questo, perché quello, come se non conoscessimo tutte le risposte, i finti tonti, gli inconsapevoli, gli ingenui, chi? Io?
    Gli idioti, ecco cosa siamo. Quelli distratti, o immersi nell'immaginazione altrui, indifferenti ai danni e ai dannati, quelli senza missione, con troppa ambizione, autoreferenziali addomesticati, dilapidatori di bellezza.
    Cos'altro, se non la malattia poteva riportarci tutti sullo stesso piano? Non la politica, non i provvedimenti dei ‘grandi della terra’ protetti dalle loro maschere.
    La malattia, l’accidente improvviso e devastante, tuttavia democratico, che può colpire chiunque, similmente, equamente. Equamente. Si potrebbe dire che non c’è niente di equo in quello che sta accadendo, le vittime sembrano selezionate; quasi tutti anziani. La morte non conosce differenze di età. Cerchiamo la risposta a tutto questo tra le pieghe della logica scientifica, ci riempiamo la bocca di vaneggiamenti verbali. Quand’è che stiamo zitti a guardare cadere la polvere dell’esplosione che ha colpito il mondo? Siamo sordi, non l’abbiamo sentita?
    E adesso via, facciamo la nostra donazione affinché si appronti un ospedale in 4 giorni per accoglierci quando ci manca il respiro. Adesso a distribuire le ricchezze ci pensa la necessità che accompagna i sensi di colpa. Via con le donazioni dunque, 5 euro, un milione di euro, tanto non la scampiamo, non ci immunizza donare denaro. Anzi, ci stiamo autodenunciando. Eccomi, sono io quello con la coscienza sporca, quello che faceva le torri di denaro per far passare il tempo. Scusa scusa scusa…
    Siamo d’accordo? Era ora di fermarsi, di scendere dal treno dell’esagerazione, in una stazione qualunque. Era ora di esplorare i dintorni della nostra inettitudine, di prendere coscienza che niente sarà più come prima. Non passerà un altro treno a raccoglierci dal nulla/nuovo in cui siamo, finalmente, arrivati.
    Non ci resta che raccogliere la mela dall'albero. Perché adesso è matura.

    Lella Pintus

    RispondiElimina
  7. Ciao, vediamo se riesco ad entrare. Saluti a tutti

    RispondiElimina
  8. Aspettavo che si completasse, come abitualmente facciamo, il giro di impressioni per intervenire nella discussione. Il mezzo non sostiene forse i nostri i nostri modi ma possiamo provare a piegarlo. Riprendo ora alcune osservazioni per dare le mie personali interpretazioni.
    Inizio dal commento di Lella e in particolare da quella parte che riporta come staccata dalla riflessione sul libro. Che può essere ricondotta all’interno. Guardiamo al cap. X del libro: “ La rivoluzione deve cominciare da ben più lontano, deve cominciare in interiore homine. … Poi eviteremo tutte le materie sintetiche, iniziando dalla cosiddetta plastica … Né scamperà la carta. … Saremo vegetariani … Il problema del tempo libero non si porrò più … Scomparsa la carta, non avremo né moneta né giornali né libri. Perciò, trasmettendosi le notizie di bocca in bocca, noi non sentiremo né le false né le superflue. Senza libri, la letteratura dovrà tramandarsi per tradizione orale, e la tradizione orale non potrà non scegliere i soli capolavori …”
    Sono solo alcune affermazioni. Tra provocazioni, aspirazioni, paradossi, non ripropone forse questa utopia le riflessioni che si rincorrono oggi nella nostra società? Anche prima del coronavirus?
    Ma tutto il capitolo è una denuncia sulla società così come si è organizzata in un “sollevamento di polvere” imposta a tutti come modo di sopravvivere in cui anche la politica ha snaturato il suo ruolo trasformando i partiti in organizzazioni rigide che non ammettono l’interpretazione individuale. Cane sciolto? Con queste premesse, forse inevitabile. Ma il capitolo è decisivo: “ Io mi oppongo” è la breve frase che include la proposta precedente. Per questo anche una vita mediocre deve essere raccontata. Dice lo scrittore.
    La lingua risponde a questa esigenza. Racconta di una popolazione che non sempre si comprende, che è diffidente, in cui anche un toscano può scoprire che la sua lingua è un dialetto!( cap.II, cap. VI …) . E non basta.
    In un libro che anche sotto questo aspetto tanto offre al lettore, l’ attenzione è attratta, tra l’altro e forse per l’uso così spregiudicato dal linguaggio, dai richiami frequenti e spesso nascosti a scrittori contemporanei e non, italiani e stranieri. Dalle prime pagine quando, introducendolo con l’aggettivo bitinicco fa riferimento a Jacques Querouaques ( vero nome di Jack Kerouac), a Molinari Enrico ( Henry Miller), e continua “ ci metterò dentro la monaca di Monza , la novizia del convento di***, il curato di campagna e il prete bello ( riferimenti a Manzoni, Piovene, Bernanos, Parise). E poi si arriva alle tante invenzioni in cui il protagonista si confonde con i personaggi dei libri tradotti in un vorticare di nomi. Di località di personaggi letterari, di scrittori. Fino alla traduzioni in inglese di un proprio testo. ( cap.VIII) E anche qui la denuncia dello stato del lavoro intellettuale sfruttato e svalutato …
    E più non dico. By.

    RispondiElimina
  9. di Anna Lai:
    È la prima volta che mi capita di leggere e rileggere un incipit e non capirlo.Questo,invece di scoraggiarmi mi ha stimolato a continuare.Nel commenti d'apertura Rita dice che l'Autore(la maiuscola è d'obbligo) abbia voluto con questo stratagemma selezionare i suoi lettori...Bene,terminato il romanzo,mi sono sentita una privilegiata.
    Il protagonista de La vita agra non è sicuramente un personaggio positivo,ma solo un uomo che viene fagocitato dai nuovi tempi ai quali,arrivando dalla provincia alla grande città,pensava di opporsi(addirittura compiendo un attentato dinamitardo per vendicare i minatori morti nella miniera di Ribolla).Nel corso del racconto non dà giustificazioni del mancato proposito iniziale,ma lascia al lettore le considerazioni descrivendo  la sua resa ad un mondo che non riconosce come suo, ma del quale fa parte e ad esso si adegua per sopravvivere.Vedo solo tanta solitudine e tanta vita agra.
    Anna Lai

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Come si dovrebbe leggere un libro? di Rita Di Mattia

This is water. Il discorso di Foster Wallace sull’acqua