Sull’Arancia meccanica di Anthony Burgess

di Antonio Fiori

Due sono gli aspetti caratterizzanti del libro, che lo rendono indimenticabile: il linguaggio (gergale e neologico) e il nucleo problematico (etico-politico) della libertà di scelta tra bene e male. La violenza infatti, di cui è saturo il romanzo, non è – paradossalmente – quello che, alla fine, resta più impresso. La violenza è certo il fenomeno analizzato ed è presentata nelle sue forme più estreme e gratuite, che inizialmente ci indignano, ma pian piano, grazie sopratutto al linguaggio gergale e caricaturale, quasi ci rassegniamo, anche perché, senza accorgercene, sta iniziando il processo di identificazione del lettore con Alex. Nel 4° capitolo della prima parte, 

Deltoid, una sorta di assistente sociale che ha in custodia Alex, il minorenne protagonista e narrante, sbotta: “Ma che avete, tutti quanti? Non facciamo che studiare il problema ed è quasi un secolo che lo studiamo, accidenti, ma i nostri studi non vanno molto avanti Tu qui hai una bella casa, dei buoni genitori che ti vogliono bene, ed hai anche un cervello che funziona. Che cos’hai che ti rode dentro, il diavolo?” Insomma, la violenza immotivata estrema e ripetuta, scelta per puro divertimento (“quello che faccio lo faccio perché mi piace farlo” confessa chiaramente Alex), è sempre inspiegabile. Ed è questo lo snodo, il problema centrale affrontato da Burgess. Questa inspiegabilità innervosisce le autorità che convoglieranno energie e denaro in un grande progetto semi-segreto - la cura Ludovico - che mira alla rimozione della personalità malvagia nei soggetti violenti, al fine di recuperarli alla vita sociale. E nonostante lo scetticismo di alcuni uomini delle istituzioni - che sembrano addirittura porsi scrupoli di carattere morale – l’esperimento funziona e Alex, attraverso una ossessiva esperienza visiva della violenza, ne resterà nauseato e la supererà definitivamente. “Alex – dirà Burgess – rappresenta l’umanità in tre modi: è aggressivo, ama la bellezza, si serve del linguaggio” ed è per questo che, alla fine, il lettore percepisce la spersonalizzazione di Alex come una violenza tanto riprovevole quanto quella di cui lui è accusato. Alcune osservazioni di terzi, raccolte spigolando nella critica e nella cronaca: 1) i capitoli sono 21, 7 per ogni parte, ed il numero farebbe riferimento all’età in cui si diventava maggiorenni in Gran Bretagna quando Burgess scrisse il romanzo; 2) il nome Alex, assai comune, sarebbe stato scelto per il protagonista perché scindibile in A-lex, ovvero ‘contro la legge’; 3) si può ritenere il romanzo un classico del genere distopico, cioè antiutopico, poiché critica la pretesa (utopistica) di ogni tirannide di eliminare la naturale inclinazione dell’uomo verso il male (male ovviamente a contenuto variabile, a seconda della tirannide). Antonio Fiori

Commenti

  1. Alcune considerazioni a margine: il linguaggio di nuovo conio mi pare strumentale a creare nel lettore lo stesso distacco emotivo che esiste tra il Protagonista e le sue vittime. Ed è proprio per questo che non ho avvertito identificazione con Alex che, del resto, mi è parso un adolescente con tratti sociopatici. Anche il contesto sociale è malato: crea dei mostri (anche oggi!) dai quali poi si deve difendere. L'amministrazione della pena in Burgess rimanda a problemi di ordine filosofico come il senso del diritto, della convivenza tra gli uomini, della violazione delle convenzioni sociali, della delega ad un terzo e del trattamento del reo. La sindrome forcaiola, infatti, non muore mai!

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  2. Prima ancora della trama forse c'era la parola 'cinebrivido' poi occorreva una bocca che la pronunciasse, così è nato Alex.
    Alex DOVEVA essere borderline, un essere allo stato embrionale, appena consapevole di essere al mondo e già in lotta con esso. Doveva essere un presente, un impensabile futuro; un libro. Alex è un libro. Senza limite di nessun genere, egli si aggira per la smisurata distesa della creatività dell’autore, in una città senza morale governata dalla prepotenza della sfacciata adolescenza, difesa con troppa forza e senza l’attenuante della legittima difesa.
    Ma, quando Alex (il libro) arriva nella sua camera e si immerge in Beethoven …nessun lettore uscirà indenne da quella pagina, da quel momento in poi nessuna violenza potrà superare lo stupore per quell'inconsapevole inquietudine che penetrerà nella nostra (finora) limitata visione del mondo di Alex, e sulla nostra incapacità di frantumare i molteplici pregiudizi sugli Alex di cui ci eravamo nutriti. Niente sarà più come prima.
    Allora che si fa,eh?
    Si legge, ecco che si fa.

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  3. Cristina Lay 9 maggio 20179 maggio 2017 alle ore 23:52

    Da una prima lettura di un romanzo che, sicuramente, non avrei mai letto "liberamente", sono emersi due aspetti che mi hanno perticolarmente colpito.
    Per primo il mio approccio ad un linguaggio che inizialmente mi è risultato fastidioso e che quasi mi spingeva a lasciar perdere......" locchiamo, sculcuola, lasciare andare le lerfie, travecchie, mugico, sgarrettati e fanè...." e che invece è poi riuscito a coinvolgermi totalmente , permettendomi di sentirmi quasi " a casa".....
    Il secondo aspetto, che ho trovato davvero illuminante, è la piena consapevolezza con cui Alex pratica e vive la violenza. Non compie azioni violente per trasporto emotivo, ma perchè le ha programmate e ha scelto "liberamente " di metterle in atto: " Quello che faccio lo faccio perchè mi piace farlo" ( cap. 4)
    Emerge così un modo nuovo , per me, di guardare la cattiveria...senza pregiudizi e preconcetti legati alla nostra educazione........Sempre nel capitolo quarto " ....chiedersi qual è la causa della cattiveria....non si chiedono mica qual è la causa della bontà, e allora perchè il contrario? Se i martiri sono buoni è perchè così gli piace, e io non interferirei mai con i loro gusti e così dovrebbe essere per l'altra parete."
    E il rapportarsi della società con la violenza forse dovrebbe davvero cambiare, per poter trovare strade nuove per affrontare le situazioni in cui molti si trovano a vivere......"La grande Musica e la Grande Poesia ...avrebbero inserito la Gioventù Moderna nella società civile"..... Chissà questa potrebbe essere davvero la strada giusta da percorrere.....

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  4. Grande metafora del potere in tutte le sue molteplici forme: dal potere violento e ottuso del singolo, a quello politico-elettorale onnivoro che strumentalizza anche il disagio per farsi salvatore della patria, passando per il potere dell'organizzazione statale e di chi la rappresenta l'apparato dove la mission sottintesa è quella di ridurre l'uomo a gregario, dipendente e ipocrita. Il tutto è molto attuale e ci pone una marea di interrogativi. Kubrick cattura di Burgess il clima surreale e onirico del libro. Nel finale Kubrick batte Burgess 1-0.

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