Il lettore medio e i buoni romanzi
Proseguiamo l’analisi
riprendendo gli interrogativi suggeriti dalla precedente provocazione (dialogo Un film, un gelato e un litigio tra Luca
e Francesca):
Bello è ciò che è
tecnicamente perfetto?
Bello è ciò che piace
ai più o agli esperti?
Bello è ciò che deve
piacere?
Bello è qualcosa che
non è riducibile a conoscenza?
Li
riprendiamo per applicarli, o per tentare di applicarli, al discorso già
iniziato dal gruppo di lettura sulla
buona e la cattiva letteratura.
Il
gruppo ha iniziato, su questo tema, a
porre le basi per un approfondimento documentato e a interrogarsi sulla
narrativa e la poesia contemporanea, sulla critica e quindi sui giudizi critici
spesso contrapposti, sulle scelte dell’editoria e sulle ragioni delle scelte.
Ma soprattutto, proponendosi come gruppo di lettura, a considerare il ruolo del
lettore, del lettore comune che vuole
essere lettore consapevole.
Leggeremo,
quale stimolo per una prima riflessione, un brano tratto dal libro di Raffaele
La Capria, Umori e malumori, edito da
Nottetempo. Il libro raccoglie “ stati
d’animo rispetto allo stato del mondo e in particolare della società italiana
in questi anni difficili (2012-2013) difficili , quando la crisi ( che
imperversa) pesa ancora sull’economia e sule coscienze. … brevi prose, dettate
anche dagli spazi consentiti da un giornale, Il Corriere della Sera …. I temi sono molto diversi: sono
letterari, politici, sentimentali e perfino religiosi, ma il modo di trattarli
è sempre lo stesso linguaggio e lo stesso approccio conversativo, senza
presunzione e saccenze”.
Capiremo
meglio questa scelta dopo la lettura.
Rita di Mattia
Rita di Mattia
Ora che per una volta e fuggevolmente sono entrato
nella classifica dei più venduti, posso dire liberamente che la maggior parte dei
libri in classifica sono illeggibili, e dunque do ragione a Citati che sul
«Corriere» lo ha detto senza curarsi delle conseguenze. Ma sono i cattivi
scrittori, secondo Citati, che vanno in classifica, o sono i lettori che ce li
mandano? Oggi per un lettore non è tanto facile distinguere la buona
letteratura da quella cattiva. Se una volta si poteva dire a cuor leggero: «Non
è bello quel che è bello, è bello quel che piace», oggi possiamo dire con
sicurezza: «Non è bello quel che è bello, è brutto quel che piace». Oggi ci
sono scuole di scrittura che insegnano come si «scrive bene», come si fa un
racconto o un romanzo, e come tutti, con un po' di applicazione possono
imparare «come si fa». Vuoi un giallo, un poliziesco, un fantascientifico, un
romanzesco, uno storico, un fantastico? La ricetta è pronta, si tratta solo di
confezionare bene gli ingredienti necessari.
È qui che viene opportuna la non facile distinzione
tra la buona letteratura e la cattiva-buona letteratura, che rassomiglia alla prima come
l'ottone rassomiglia all'oro. A volte la somiglianza è talmente grande e il
luccichio sfavilla talmente, che è facile cadere nell'errore di giudizio, o
meglio, è facile essere imbrogliati. La zona grigia della cattiva-buona
letteratura ha tra l'altro infinite gradazioni di grigio, cioè di
approssimazione alla buona letteratura, e perciò anche per un addetto ai lavori
è difficile distinguere tra grigio e grigio, e quanti critici, perché di
tendenza o per sordità, non riescono a distinguere il vero dal falso, e danno
per buona la letteratura che sembra buona perché ha molte caratteristiche di
quella buona. Un vero critico, Hans Sedlmayr ci aiuta a distinguere. Nel suo
libro Arte e verità scrive che oggi accade, molto più frequentemente di
una volta, che la composizione abbia la pretesa di sostituirsi alla creazione.
Ma la creazione è qualcosa di diverso, nasce dalla forza dell'immaginazione, e
crea chiare immagini significanti, fantastiche metafore conoscitive, invenzioni
verbali illuminanti, e un suo proprio linguaggio. La composizione, (la
costruzione) non nasce come la creazione dalla potenza dell'immaginazione,
nasce invece da un'intelligenza combinatoria, dalla razionale capacità di
assemblare elementi diversi, e di intuire furbescamente quel che si può rubare
(imitare) di qua e di là.
Per spiegarmi con parole più semplici sono ricorso
all'esempio dei miei gatti (vedi il mio Letteratura e salti mortali). Tre gatti domestici, non
quelli dell'età eroica in cui si nutrivano di topi o degli avanzi di cibo. Per
pigrizia do ai miei gatti cibo confezionato in scatolette, e il menù è vario, i
gusti tanti, non solo carne o pollo, ma anche combinazioni raffinate di
tonnetto con papaya, con ginseng, pesce dell'Atlantico, pesce dell'Oceano
Pacifico.
Sono talmente disgustati, poveri gatti, di questo cibo
confezionato che devo continuamente cambiarlo. Volete tacchino? No? Allora pesce
dell'Atlantico? Neanche. Pesce del Pacifico? Infine sono diventati talmente
incerti e inappetenti che per risvegliare i loro veri istinti ho dato loro
pesce fresco, fragranti alici di giornata, piccoli sgombri, fragaglia di
paranza. Ebbene essi non li riconoscevano più, avevano perduto il loro
istinto naturale. Perfino il filetto di vitello, tagliato a pezzettini dal mio
piatto e a loro offerto con grazia, perfino quello schifavano. Siete o no
felini, siete o no carnivori? Niente, neanche il filetto. Niente di veramente
naturale essi riconoscevano più.
Capita la metafora? Anche il lettore medio, ormai assuefatto a confezioni
letterarie d'ogni tipo, ma tutte artificiali, anzi industriali, come i miei
gatti non riconosce più la buona letteratura. Anche questo è l'effetto del
consumismo sempre più intenso e sempre più conculcato dal mercato. C'è
un'ultima distinzione da fare tra un buon libro e uno cattivo, e questo va al
di là della distinzione che ho già fatta, e riguarda anche la buona
letteratura, quella vera, quella alta. E però una distinzione mia, personale, e
riguarda il mio gusto, il mio modo di leggere e di sentire: per me un bel libro
è quello che comunica attraverso il linguaggio un'emozione che può essere
fredda (Les liaisons dangereuses) o calda (Dickens).
Non mi piacciono invece i libri troppo affidati a
un'abilità stilistica dalle «volpi dello stile», perché questi libri, anche
pregevoli letterariamente e anche necessari, spesso li trovo «disanimati»,
spesso sono «oggetti letterari» di notevole fattura, ma soddisfano più la mia
intelligenza che il mio cuore. Ma qui esprimo solo i gusti personali di chi
preferisce lo «stile dell'anatra»; che nuota leggera in superficie, ma che
ottiene questa leggerezza faticando assiduamente sott'acqua con le zampette
palmate. Un lavoro e una fatica che non si vedono, che lo scrittore non deve
fare mai apparire.
«Sii profondamente superficiale»: è un proverbio di Machado per me e
anche un consiglio da seguire.
Raffaele La Capria14 marzo 2012 (modifica
il 19 marzo 2012)
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